Non sono gli ingredienti di un’insalata letale o di una pozione magica di una strega. Volendo scrivere del Colchicum (falso zafferano), genere con diverse specie in fioritura fra l’estate e l’autunno, non si può fare a meno di ribadire i pericoli del suo consumo, accidentale o meno che sia. Perché questa pianta velenosissima viene confusa con altre piante commestibili e dato il crescente interesse verso la fitoalimurgia (qualcuno, ahinoi, sarà più avvezzo al quasi corrispettivo anglosassone “foraging“) è necessario mettere in guardia dal pericolo che si corre.

In Terra di Lavoro non è raro osservare, fra agosto e ottobre, i fiori del Colchicum neapolitanum, il “colchico napoletano” o del molto simile Colchicum lusitanum o “colchico portoghese”. Un altro nome comune di questo genere è “falso zafferano” per la sua somiglianza con molte specie del genere Crocus, comunemente crochi, a cui appartiene anche il vero (e unico!) zafferano. Per questo la raccomandazione che chiunque parli di colchico, giustamente fa, è quella di non confonderlo con alcuna delle altrettanto numerose specie di zafferano in senso lato, ovvero con qualche Crocus.
Ma è così facile e frequente la confusione o si tratta di una mistificazione, di una esagerazione? C’è realmente il pericolo di confondere le specie di Colchicum con quelle del Crocus o di altre specie? E che rischio si corre?

Iniziamo dal presupposto che lo zafferano vero, Crocus sativus, fiorisce e si raccoglie più o meno nello stesso periodo, ma solo dove viene messo in coltura, non esistendo allo stato spontaneo. Si asportano i tre fili rossi, che rappresentano tre ramificazioni dello stilo, ognuno con uno stimma. Stili e stimmi sono parti del pistillo, la parte femminile della pianta e spesso, infatti, lo zafferano si trova in vendita “in pistilli” oltre che “in stimmi” o “in fili“, tutti modi per intendere la stessa cosa anche se dal punto di vista botanico ciò non è completamente corretto. Il consumo dei fiori (la corolla, per intenderci meglio) perfettamente commestibili, invece, è una moda relativamente moderna. Tutte le specie di Crocus spontaneo somigliano allo zafferano vero ma se volessimo raccogliere il fiore di quelli spontanei per ricavarne i fili, dovremmo aspettare la fine dell’inverno e la primavera, quando sono più frequenti le fioriture della maggior parte delle specie. Invece i crochi che fioriscono in autunno sono pochi e più rari oltre che endemici.

Ma ammettiamo, nonostante poco o nulla sappiamo della commestibilità delle specie di Crocus spontanee, che volessimo ricavare i fili per farci un risotto. Se per ottenere un grammo di zafferano dobbiamo prelevare gli stimmi di circa 150 fiori, coltivati ordinati nei filari dei campi, per ottenere un grammo di fili di un Crocus selvatico dovremmo prelevarne dai 500 ai 600 (dato che ho ottenuto pesando stili e stimmi di C. biflorus e C. suaveolens!). È pur vero che chi non conosce le piante può confondere qualsiasi cosa e molti non sanno neppure che la spezia si ottiene dagli “stimmi” polverizzati. Potrebbe venire la tentazione di raccogliere qualsiasi fiore somigliante allo zafferano e magari ingerirlo. Per evitare l’errore non serve la genetica a dirci se è Colchicum o Crocus ma è sufficiente contare gli stami: 3 in Crocus, 6 in Colchicum. Tuttavia, pur se non ne sappiamo il motivo (se sia scambiato con zafferano o no), uno dei due picchi di avvelenamento da Colchicum avviene proprio in corrispondenza della fioritura, secondo quanto osservato in oltre vent’anni da un centro anti-veleni in Germania [1].

Secondo lo stesso studio l’altro picco, invece, avviene in primavera, quando dal relativamente piccolo bulbo del Colchicum spuntano due-tre foglie grandi. Queste sono maledettamente confondibili con le foglie di qualche aglio selvatico (soprattutto Allium ursinum) ed è a causa di questa confusione che vengono riferiti i casi più gravi di avvelenamento, accidentale o volontario, da Colchicum [2, 3, 4 ,5, 6 per citarne solo alcuni]. Altra somiglianza da cui riteniamo utile mettere in guardia è quella con la pianta del lampascione (Muscari comosum (L.) Mill.), anch’essa con 3-4 foglie, ricercata per il bulbo commestibile.

Per non confondersi:
– tra le foglie del lampascione spunta un “pennacchio” di fiori blu;
– le foglie dell’aglio puzzano….di aglio!
– tra le foglie del Colchicum ci sono le capsule, contenenti i semi, al livello del terreno.
Ma la cosa migliore da fare è NON RACCOGLIERE quel che non si conosce davvero bene. Nel dubbio fatelo vedere ad un esperto (un botanico!).
Tutto il Colchicum è velenoso: non vuole essere mangiato da nessuno e in effetti si riportano anche casi di avvelenamenti di bestiame domestico [7, 8]. La fauna selvatica, invece, dovrebbe aver “imparato” bene ad evitarlo. La colchicina, la principale sostanza responsabile della tossicità della pianta è contenuta soprattutto nei fiori (fino al 2%), seguiti dai bulbi (0,6% ) e dalle foglie (0,4%) [7]. Dobbiamo però considerare che le foglie fresche hanno un peso molte volte superiore a quello dei fiori e, di conseguenza, contengono un valore assoluto di principio attivo maggiore. Scorrendo la letteratura a riguardo, per esempio, un uomo ha ingerito volontariamente 40 fiori di Colchicum autumnale e dopo aver riportato i sintomi di un’intossicazione acuta, è sopravvissuto [9]. Sorte peggiore è toccata a chi ha consumato foglie di Colchicum in insalata [10] o lo ha mangiato scambiandolo per aglio selvatico o mischiando accidentalmente le foglie con quelle dell’aglio [6].
In ogni caso, per l’avvelenamento da colchicina non c’è antidoto e il trattamento dei pazienti segue le procedure della terapia intensiva nel disperato tentativo di limitare i danni e salvare loro la vita. Si tratta, dunque, di una delle più temibili piante esistenti. Eppure c’è un risvolto della medaglia ed è di grande attualità. La colchicina è un antinfiammatorio e lo si ritrova, ben dosato, in numerosi farmaci. Fra i casi di avvelenamento esaminati dal report citato [1], infatti, numerosi sono i casi di intossicazione per sovradosaggio di compresse e capsule contenenti colchicina. Più recentemente diversi studi mostrano come questa sostanza sia efficace nel trattamento dei malati di Covid-19, oltre che della Sars. A tale riguardo esiste già una vasta letteratura scientifica (per esempio 11 e 12 e ne ha scritto anche qui il blog Phytochem della bravissima ricercatrice Monica Scognamiglio).
In effetti gli studiosi di conservazione ce lo dicono sempre: la biodiversità va presercata ANCHE perchè animali e piante, perfino quelli molesti o pericolosi, potrebbero, un giorno, esserci utili.
Nella Flora di Terra di Lavoro:
Colchicum neapolitanum (Ten.) Ten. subsp. neapolitanum – pianta identificata da Michele Tenore nel 1826 [15] come varietà del Colchicum autumnale ma poi rivalutata come specie buona. Perciò oggi C. autumnale è distribuito nelle regioni settentrionali, C. neapolitanum in quelle centro-meridionali e con due sottospecie di cui una accertata per il territorio di Terra di Lavoro, sui rilievi.
C. lusitanum Brot. – molto simile a C. neapolitanum è stato osservato per il Matese [13] e per il basso Lazio. Ha i fiori con evidente “tassellatura”, dimensioni maggiori e altri caratteri che necessitano di osservazioni e misurazioni con la lente.
C. alpinum DC. è stato segnalato sul versante molisano del Matese [14]. Carattere distintivo è la forma degli stimmi, a “capocchia di spillo”.
Soluzione al quesito: le foto 1 e 3 sono di Colchicum (rispettivamente Colchicum cupanii Guss. e Colchicum neapolitanum (Ten.) Ten.); le foto 2 e 4 sono, rispettivamente, Crocus neapolitanus (Ker Gawl.) Loisel. (anche l’epiteto specifico è simile al colchicum!) e Crocus suaveolens Bertol.
Bibliografia citata nell’articolo
[1] Stuerzebecher A., Liebetrau G., Deters M., Hentschel H. Trend of Colchicine exposures reported to the Poison Information Centre Erfurt. Poison Information Centre Erfurt, Germany
[2] Brvar, M., Ploj, T., Kozelj, G., Mozina, M., Noc, M., & Bunc, M. (2004). Case report: fatal poisoning with Colchicum autumnale. Critical Care, 8(1), R56
[3] Brnčić, N., Višković, I., Perić, R., Đirlić, A., Vitezić, D., & Cuculić, D. (2001). Accidental plant poisoning with Colchicum autumnale: report of two cases. Croatian medical journal, 42(6), 673-675
[4] Sannohe, S., Makino, Y., Kita, T., Kuroda, N., & Shinozuka, T. (2002). Colchicine poisoning resulting from accidental ingestion of meadow saffron (Colchicum autumnale). Journal of Forensic Science, 47(6), 1391-1396
[5] Brvar, M., Koželj, G., Možina, M., & Bunc, M. (2004). Acute poisoning with autumn crocus (Colchicum autumnale L.). Wiener Klinische Wochenschrift, 116(5-6), 205-208
[6] Amrollahi-Sharifabadi, M., Seghatoleslami, A., Amrollahi-Sharifabadi, M., Bayani, F., & Mirjalili, M. (2013). Fatal colchicine poisoning by accidental ingestion of Colchicum persicum: a case report. The American Journal of Forensic Medicine and Pathology, 34(4), 295-298
[7] Kupper, J., Rentsch, K., Mittelholzer, A., Artho, R., Meyer, S., Kupferschmidt, H., & Naegeli, H. (2010). A fatal case of autumn crocus (Colchicum autumnale) poisoning in a heifer: confirmation by mass-spectrometric colchicine detection. Journal of veterinary diagnostic investigation, 22(1), 119-122
[8] Schrader, A., Schulz, O., Völker, H., & Puls, H. (2001). Recent plant poisoning in ruminants of northern and eastern Germany. Communication from the practice for the practice. Berliner und Munchener Tierarztliche Wochenschrift, 114(5-6), 218-221
[9] Danel, V., Danel, V. C., Wiart, J. F. D., Hardy, G. A., Vincent, F. H., & Houdret, N. M. (2001). Self-poisoning with Colchicum autumnale L. flowers. Journal of Toxicology: Clinical Toxicology, 39(4), 409-411
[10] Sundov, Z., Nincevic, Z., Definis-Gojanovic, M., Glavina-Durdov, M., Jukic, I., Hulina, N., & Tonkic, A. (2005). Fatal colchicine poisoning by accidental ingestion of meadow saffron-case report. Forensic science international, 149(2-3), 253-256
[11] Parra-Medina, R., Sarmiento-Monroy, J. C., Rojas-Villarraga, A., Garavito, E., Montealegre-Gómez, G., & Gómez-López, A. (2020). Colchicine as a possible therapeutic option in COVID-19 infection. Clinical Rheumatology, 39(8), 2485-2486
[12] Piantoni, S., Colombo, E., Airò, P., Tincani, A., Brucato, A., Franceschini, F., … & Scarsi, M. (2020). The rationale for the use of colchicine in COVID-19: comments on the letter by Cumhur Cure M et al. Clinical Rheumatology, 39(8), 2489-2490
[13] Santangelo A., Bernardo L., Bertani G., Bronzo E., Cancellieri L., Costalonga S., Croce A., Del Vico E., Fascetti S., Fortini P., Gangale C., Gubellini L., Iocchi M., Lapenna M.R., Lattanzi E., Lavezzo P., Lupino F., Magrini S., Marino R., Uzunov D., Paura B., Peccenini S., Peruzzi L., Rosati L., Salerno G., Scoppola A., Strumia S., Tardella F.M. Contributo alla conoscenza floristica del Massiccio del Matese: resoconto dell’escursione del Gruppo di Floristica (S.B.I.) nel 2007. Informatore Botanico Italiano 42(1): 109-143
[14] Bianchini, F. “Contributo alla conoscenza della flora del Matese (Appennino molisano-campano).” Bollettino del Museo civico di Storia Naturale di Verona 14: 87-228.
[15] TENOREM., 1826a -Ad Florae Neapolitanae ProdromumAppendix Quinta, exhibens centurias duas plantarum nuperrime detectarum; necnon specierum novarum vel minus cognitarum, characteres et illustrationes. R. Marotta e Vanspandoch, Napoli.